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Salute

Quando la sofferenza dell’anima diventa sofferenza del corpo

Posted: 26/04/2008 alle 8:17 pm   /   by   /   comments (0)

Il rifiuto del cibo non è un disturbo dell’appetito ma una psicopatologia molto grave e complessa che nasce da una profonda sofferenza emotiva, e quando il corpo e il suo peso diventano ossessione, e la magrezza è enfatizzata come un valore positivo nasce l’Anoressia Nervosa.

Tra i fattori scatenanti le diete ferree, le nevrosi, i problemi affettivi, ma soprattutto l’imitazione di modelli di bellezza proposti dalla moda e dai media. Si deperisce, fino a perdere le forze. Nei casi estremi si arriva alla morte. L’Anoressia è una condizione molto seria in cui si ha una drastica riduzione dell’ assunzione di cibo ed è una patologia a spiccata prevalenza femminile. Tale disturbo si manifesta con rifiuto del cibo per paura di ingrassare, assenza di ciclo mestruale per almeno tre mesi consecutivi , perdita di peso di 15 – 12 kg in meno rispetto al normale, intensa paura di ingrassare pur vivendo la condizione fisica di sottopeso, infine alterata percezione del proprio corpo (in sostanza la persona si vede grassa anche quando ormai è diventata uno scheletro), in forme gravi il soggetto smette anche di bere.

Inoltre vi sono due sottotipi di anoressia: quella con restrizione in cui il soggetto si è limitato a ridurre rigidamente il cibo; e quella con abbuffate seguite da condotte di eliminazione attraverso il vomito autoindotto, clisteri, purghe, diuretici e un eccessivo esercizio fisico; infatti molti si sottopongono a diversi tipi di esercizio fisico, pedalando, correndo, passeggiando, o semplicemente camminando in maniera pressocchè incessante. Studi condotti sugli animali indicano che l’aumentata attività può essere una conseguenza del digiuno.

Si è visto che i ratti deprivati di cibo passano una quantità crescente di tempo correndo su un dispositivo a forma di ruota, qualora venga concessa loro la possibilità di disporne, anche se tale condotta non fa che accelerare la perdita di peso. Alcuni ricercatori ritengono che l’attività fisica stimoli la scomposizione dei lipidi in acidi grassi e glicerolo, riducendo quindi la sensazione di fame. Definire precisamente la causa che scateni l’Anoressia è difficile, non c’è una risposta definitiva ma una serie di ipotesi. Dal punto di vista psicologico – dinamico generale, la persona con tale disturbo ha delle problematiche con il sistema familiare in particolare con la figura materna.

Se riflettiamo sul fatto che la prima relazione che un essere umano ha, è con la madre attraverso l’allattamento, di conseguenza il rifiuto del cibo lo si potrebbe collegare ad un rifiuto verso l’immagine materna, che è alla base della propria costruzione di identità e femminilità. Non a caso appaiono ridotte le forme femminili come il seno e vi è appunto l’assenza del ciclo mestruale. L’anoressica rifiuta il cibo come rifiuta la dipendenza verso la madre in una forma di ribellione all’insegna della conquista della propria autonomia.

Tale patologia si sviluppa nella fase adolescenziale proprio quando numerose conflittualità sono incentrate attorno al corpo, e quindi questo diventa il canale per esprimere disagi più profondi spesso difficili da comprendere anche dalla stessa famiglia. I clinici che hanno in trattamento pazienti con anoressia nervosa sono d’accordo nel ritenere che è necessario un approccio a due vie, uno che prevede un primo passo di ripresa dell’alimentazione per acquistare peso, e una volta raggiunto tale obiettivo, può iniziare il secondo passo che prevede l’intervento psicoterapeutico (che può essere una terapia cognitivo – comportamentale, una psicoterapia analitica, oppure una psicoterapie di gruppo), e l’eventuale associazione di psicofarmacoterapia e counseling familiare.

La prevenzione dei disturbi del comportamento alimentare passa anche dalla promozione di modelli culturali positivi per le giovani generazioni, infatti gli esperti hanno evidenziato che strategie efficaci e condivise utili per la prevenzione dei disturbi del comportamento, devono coinvolgere non solo il versante prettamente sanitario, ma tutti quegli agenti sociali che contribuiscono ad elaborare modelli socio-culturali incisivi sull’immaginario giovanile: oltre alla moda, anche i media, la pubblicità, il mondo dello sport, la scuola e la famiglia. Ma alla base di tutto bisogna far capire a coloro che sono in fase di passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza che non bisogna ricercare una bellezza a cui tendere ma ritrovare e apprezzare la propria unicità e la propria bellezza perché non esiste da nessun altra parte uno uguale a noi. E che la magrezza non vuol dire bellezza.

Dott.ssa Manuela Masiello – Psicologa clinica e di comunità