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Approfondimenti, Studi e Ricerche

La salute: una questione privata o collettiva?

Posted: 02/02/2015 alle 11:40 am   /   by   /   comments (0)

Da alcuni decenni nel parlare di salute – sanità generalmente incontriamo due temi: sistemi sanitari e livelli di salute. Apparentemente due ambiti scollegati tra loro e infatti raramente leggendo o ascoltando dibattiti si trova un filo conduttore che collega i due versanti.

Nell’argomentare il primo (sistemi sanitari) l’accento è messo prioritariamente (esclusivamente) sul fattore finanziario: quanto costa, piani di rientro, accorpamenti, aumento/riduzione dei ticket, etc.

Nel secondo ambito (livelli di salute) l’accento è messo quasi esclusivamente su misurazioni statistiche, diffusione – incidenza – cronicità delle malattie, terapie più diffuse e i costi, strategie  o prescrizioni individuali di prevenzione; il tutto perlopiù scollegato dal contesto, quindi con un approccio poco epidemiologico.

Inutile dire che solo un occhio disattento può sottovalutare la dipendenza del primo dal secondo ambito. Ma anche chi lo fa, cioè chi ammette che il costo dell’assistenza dipende dal livello di salute della popolazione, lo fa  solo per sottolineare che il sistema universalistico è stata una utopia deleteria, che “non è più tempo di vacche grasse” , che “non si può dare tutto a tutti”, o “non si può avere l’ospedale sotto casa”, finanche a teorizzare che “la sanità è un asset produttivo/improduttivo”. Definizioni – tormentoni che ascoltiamo anche da fonti più o meno autorevoli che difinoscono anche “cliente” chi si ammala.

Nel secondo ambito a chi ha vissuto anche l’era della teoria basata sulla prevenzione triplice degli anni ’70-’80 (primaria, secondaria, terziaria), non  può non saltare agli occhi che oggi siamo giunti ad una specie di pensieri unico per cui, fatti salvi i casi di malattie dichiaratamente genetiche, se l’individuo si ammala, praticamente “se l’è andata a cercare”. Perché? Perché fuma, mangia male e troppo, non fa attività fisica e si sottopone più o meno volontariamente a situazioni di stress. Quindi ne discenderebbe che,  usando queste “piccole” regole, saremmo tutti sanissimi e felici. Ovviamente sono regole d’oro, ma è altrettanto evidente che le cose non stanno solo così.  E non ci vuol molto a controbattere: posso non fumare ma vivere in una città inquinata e mi fumo smog e  polveri sottili. Posso voler mangiare bene e in maniera equilibrata ma nei supermercati cosa trovo? Concimi, antibiotici, conservanti, coloranti, ormoni, etc. sono banditi dai prodotti alimentari? E lo stress? Posso veramente scegliere di  vivere una vita fatta di calma e serenità, con un approccio “zen” a tutti i problemi?

E’ fin troppo facile comprendere come stanno le cose. Ma nel frattempo tutte le varie analisi, ricerche, negli ultimi decenni statistiche sono andate in questa direzione, contribuendo colpevolmente anche a formare una mentalità a pensiero unico che, sintetizzata brutalmente è: la sanità ce la dobbiamo pagare e se mi ammalo è colpa mia. Ma altre ricerche e teorie  (es. Z. Bauman) dicono altro; dicono, in estrema sintesi, che la salute dell’individuo è un prodotto della società, e non è un  mero prodotto economico.

Facciamoci domande su: ambiente, inquinamento, controlli sugli alimenti e la produzione  agricola e non, catene di montaggio, ambienti di lavoro, sicurezza degli impianti e dei cantieri, leggi, controlli e repressione degli abusi, corruzione, rapporto subordinato alla tecnologia ed ai tempi delle città e del lavoro. Insomma proteggere la salute da tutto ciò è compito dell’individuo?

Certo il singolo può fare la sua parte. Ma chi deve sovraintendere a tutto ciò? Se la svolta non è condivisa, cioè dei governi delle nazioni, il risultato non sarà mai un cambiamento vero. Il lavoro non sarà mai “realizzazione delle potenzialità”; il ritmo e le componenti della vita saranno sempre insalubri. E chi si ammala  ha diritto ad un sistema sanitario “sano”, un ospedale efficiente, e umano che dia risposte adeguate. E deve farlo gratuitamente perché  è per questo che siamo una collettività, per questo paghiamo le tasse: per avere servizi, non per pagare stipendi e pensiono d’oro a chicchessia.