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Approfondimenti

Il farmaco, la vasca o la vita?

Posted: 28/11/2013 alle 8:32 am   /   by   /   comments (0)

Esce sul Fatto quotidiano.it il 26 ottobre scorso, al link l’articolo: “Malinconico, depresso? Annega un topo che ti passa”. L’articolo riferisce delle  modalità con cui medici ospedalieri e docenti universitari di tutta Europa sperimentano su topi, ratti e cani   nuove molecole  per debellare depressione, malinconia, disturbi bipolari e altre malattie o alterazioni psichiche degli esseri umani.

Il metodo di sperimentazione più diffuso è il test del “nuoto forzato” o della “disperazione comportamentale”  Funziona così:  un ratto o un topo viene messo in un contenitore d’acqua fredda e costretto a nuotare fino allo sfinimento per poi essere tirato brevemente fuori dall’acqua. Dopo di che si ripete la procedura fino a quando l’animale ha raggiunto lo stato di impotenza e cessa di nuotare. Viene quindi misurato il tempo che impiega fino allo stato di disperazione, che coincide con la cessazione del nuoto. Queste prove vengono eseguite una volta con e una volta senza la somministrazione di un farmaco che dà potenzialmente delle speranze. Se con il farmaco il tempo impiegato fino alla cessazione del nuoto aumenta, i ricercatori lo ritengono efficace per sensazioni quali la disperazione, spesso presente, tra le altre cose nelle depressioni.

Ora: sono più che legittime le considerazioni che  fa Vanna Brocca, autrice dell’articolo. E certamente non è necessario essere animalisti convinti per sottoscrivere la sua ferma condanna verso questo tipo di sperimentazione crudele ai danni di poveri animali.

Tuttavia leggere l’articolo mi ha indotto altre considerazioni verso cui vorrei indirizzare questa riflessione.  Proviamo a visualizzare il povero topo immerso ripetutamente nell’acqua fredda e sollecitato a nuotare fino allo sfinimento. Immaginiamo il sollievo che prova nel sentirsene fuori e poi la frustrazione nell’ esservi rituffato. E proviamo a immaginare lo stato di disperazione che lo assale quando realizza che riprendere  a nuotare non solo è impossibile per la stanchezza che lo lascia senza forze, ma è anche del tutto inutile perché ha capito che questa tortura non avrà fine e quindi forse la salvezza è nel lasciarsi andare.

Pensiamo poi alla somministrazione del farmaco che non avrà il potere di interrompere la crudeltà del  trattamento ma “tirerà” più in là i tempi di sopportazione, quindi  prolungando solo la tortura.

Ora pensiamo che quel topo siamo noi. E’ per noi umani che la sperimentazione del farmaco è ideata. E non è un caso che l’esperimento si svolge con queste modalità che tentano di riprodurre il vivere quotidiano di molti di noi (magari non tutti, ma una buona fetta). Quotidianità e crudeltà che subiamo forse con incoscienza. Anche noi come i topi nuotiamo  fino allo sfinimento tentando di trovare una via d’uscita; anche nella nostra esperienza qualcosa o qualcuno ce ne tira fuori solo per rituffarci crudelmente ancora nella vasca gelata.  E chi sperimenta la molecola “miracolosa” non ha certo intenzione di porre fine alla crudeltà, ma anzi di prolungarla, spostando solo più avanti il punto di cedimento definitivo e prolungando così il nostro“uso nella vasca gelata” .

Sospendo ogni ovvia considerazione che si potrebbe fare sull’uso dei farmaci e soprattutto dei psicofarmaci, che non si vogliono qui demonizzarne, riconoscendone una indiscutibile validità a patto di farne  un uso appropriato.  

Voglio, invece, fermare l’attenzione sul momento che viene prima del farmaco, e il parallelismo tra vasca dell’esperimento e mondo reale. Non c’è alcun dubbio che quella vasca la conosciamo bene. E non possiamo esimerci dal renderci conto se stiamo nuotando a vuoto in una vasca gelata. Poiché non siamo topi ma esseri umani, capaci di riflettere e decidere della nostra vita, la crudeltà più grande che possiamo fare a noi stessi è quella di ignorare o non impedire che ciò accada. Questo ovviamente potrebbe voler dire che essere più resistenti al nuoto o al freddo non ha senso, perché ha senso solo tirarsi fuori dalla vasca. E questo comporta ripensare tutta la vita. Che può sembrarci impresa impossibile. Ma è indubbio che pur essendo una bella faticaccia, non lo è più di quella di continuare a nuotare nel ghiaccio… Con la differenza che fuori di lì c’è la salvezza. Dentro certamente no. 
Per approfondire questo tema (e avere qualche suggerimento) può essere utile leggere il libro, oramai  cult, “Adesso basta” di Simone Perotti .

 

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